IL CATRIA E LO SVILUPPO IN-SOSTENIBILE
Il Catria è una montagna di 1701 m slm dell'appennino centrale, la più alta del provincia di Pesaro e Urbino.
Caratterizzato da faggete e pascoli montani è da tempo luogo di riferimento della provincia
per le attività outdoor come trekking, mountain bike, arrampicata, alpinismo, scialpinismo e
anche, in ultimo, lo sci alpino.
Infatti, nonostante la quota e le poche giornate sciabili è dotato di un piccolo impianto di
risalita la cui storia risale agli anni '70. Gli anni in cui il turismo sciistico diventa di massa e
la cementificazione conosce il suo boom.
L'impianto originario si trova sul monte Acuto (il fratello di poco più basso del Catria,
facente parte dello stesso massiccio), ed è caratterizzato da una bidonvia che parte da quota
~550m slm fino a ~1350m, un successivo skilift da quota 1350 a 1450 e una manovia che
arriva quasi a quota 1500. Dopo i primi anni di attività l'impianto chiude e rimane abbandonato per un ventennio circa.
Nel 2009 viene recuperato, la cabinovia viene riaperta e parzialmente ammodernata.
Nonostante le giornate di neve siano scarse, e ancor meno le giornate di neve con bel
tempo e senza vento, si pensa che magari con una gestione che punti tutto sulla
destagionalizzazione l'impianto possa sopravvivere, anche perchè stiamo parlando di una
struttura che stava ferma ad arrugginire.
Le piste sono poche ma caratteristiche: un dedalo di neve tra le faggete e una strada di
supporto alla costruzione degli anni settanta che si trasforma in una stretta pista di
fondovalle nelle rare giornate di bassa pressione siberiana. Ancora ricordo il commento di un
amico milanese con gli occhi illuminati dopo una discesa a valle "è la più bella pista di
snowboard cross che abbia mai fatto!".
Purtroppo il meteo sul Catria non è dei più clementi, la nebbia è quasi una costante e il vento,
beh, anche lui gioca la sua parte. Tutte cose non del tutto gradevoli per il turista da solarium e
seggiovia riscaldata.
Puntando molto sullo sci i primi anni non vanno come sperato e nascono progetti per "salvare" la stazione da morte certa.
Prese in considerazione le caratteristiche del monte, del turismo e le poco rosee
prospettive invernali future, ci si aspetterebbe che i progetti avessero previsto una minore dipendenza dall'inverno e un focus sull'estate.
Magari il trekking, oppure la mountain bike (delle piste da downhill ci sono già, create a pala e piccone dai frequentatori del luogo),
oppure il trail running che si sta evolvendo anche in appennino con tanti praticanti "local" super entusiasti.
Invece no, le piccole opere si sa, non attirano finanziamenti e come in un film di Ficarra e Picone, arriva lui, il megaprogetto!
Il progetto è un tuffo negli anni ottanta, una seggiovia al posto dello skilift, lo skilift al posto
della manovia, una nuova seggiovia dal nulla, impianto di illuminazione notturna, impianto
di innevamento artificiale - ah, non c'è acqua - allora bacino idrico a 1300m, allargamento
di tutte le piste e creazione di nuove. Illuminante... e allucinante!
Eppure, l'appennino non è nuovo a realizzazioni del genere, e basta scendere un po' per
trovare gli scheletri del collegamento funiviario del monte Bove sui Sibillini, oppure lo
scenario post-nucleare di "Camp Nevada" alla Fossa di Paganica sotto il Gran Sasso;
seggiovie e skilift mai entrati in funzione, con tanto di hotel di lusso riqualificato a ricovero
notturno per animali da pascolo. Oppure la situazione del versante teramano, con gli impianti sciistici di Prati di Tivo e Prato Selva recentemente messi in vendita a fronte di un buco
milionario della società che li gestiva.
Tant'è, tutto questo non sembra interessare i proponenti del progetto, che anzi ne tessono
le lodi come volano di sviluppo, rilancio dell'economia e inversione del trend di fuga verso
le città costiere.
Molti ci credono e sperano veramente, altri, forse, un po' meno. E qualcuno comincia a
storcere il naso. Forse eradicare 3000mq di faggeta, allargare le piccole piste (tanto da
poterci atterrare un 747), aggiungere una nuova seggiovia che può servire solo allo sci (non
và né più in alto né più in basso dell'attuale) e il restante progetto non è proprio
quello che si dice uno sviluppo sostenibile né tantomeno un modo per destagionalizzare.
Spendere 3,5 milioni di euro di fondi pubblici in una attività molto rischiosa quale è lo sci a
bassa quota a non tutti sembra una cosa molto sensata, men che meno se per farlo si distrugge una quota non risibile di patrimonio ambientale.
Così le prime associazioni cominciano a muoversi già quando il progetto viene approvato,
nascono comunicati congiunti, studi, manifestazioni e tutto il corollario social, nonché
interrogazioni in Commissione Europea.
Ma le critiche vengono prontamente liquidate a slogan del tipo "noi facciamo quello che ci pare!", "state al mare!" e via dicendo (anche qui, magari non il modo migliore di farsi pubblicità per chi si fregia di promuovere il territorio).
I lavori iniziano, le vecchie faggete vengono abbattute ed eradicate, le pendenze livellate
muovendo centinaia di m^3 di terreno e rocce. Il danno è davanti a tutti e le ferite si vedono
a decine di chilometri di distanza.
Ben presto alle piccole associazioni si uniscono anche altre più grandi, arrivano le prime
multe dei forestali - anche se risibili - e gli articoli di giornale cominciano ad essere più fitti,
tanto da includere anche testate nazionali come Il Fatto Quotidiano1.
Tutto ciò, come si poteva facilmente prevedere, porta con se una forte pubblicità negativa
alla zona (ma cosa ti aspetti se vuoi fare turismo in montagna con le ruspe? Il trekker che ti
fa i complimenti per la bellissima cava?).
Fino allo scorso 27 Ottobre dove una manifestazione congiunta tra sezioni Cai, Tutela Ambiente Montano e le più importanti associazioni ambientaliste marchigiane, ha portato circa 300 persone sulla vetta dell'acuto per protestare contro questo deturpamento. Un numero importante se si pensa al potenziale impatto economico del turismo escursionistico, sia estivo che invernale, che si vedrebbe fortemente ridotto2.
Malgrado questo, oggi i lavori sono ancora in corso e non accennano a fermarsi, e la
paura è quella di ritrovarsi, in futuro, un cumulo di ferraglia ad arrugginire dietro casa, oltre
ad una montagna devastata per l'interesse di pochi a scapito di tutti.
Ad oggi sembrerebbe che la regione Marche abbia dato il via libera ad un nuovo finanziamento circa un milione di euro per il bacino di raccolta acqua per l'innevamento artificiale byepassando il problema di impatto ambientale giudicando questa nuova fase come non soggetta a VIA (valutazione di impatto ambientale).
La speranza è che chi si ritrovi a dover gestire questi territori d'ora in avanti tenga conto di
tutto quello che ruota intorno alla montagna, di tutti quelli che la vivono, frequentano e
proteggono, ma soprattutto, di quelle che son le prospettive globali per le terre alte, perché il futuro non è così lontano.
FOTO SATELLITARI DAL 1978 AD OGGI IN CUI SI VEDE LA CHIARA DEVASTAZIONE DEL CATRIA
Foto gentilmente fornite dal sito catria.net
ARTICOLO SCRITTO DALL' AMICO AS PIETRO CIARIMBOLI
PHOTO GALLERY
PHOTO CREDIT FABIO TAFFETANI